[di Stefano D’Argento] Cosa vuol dire per un cristiano fare e proporre cultura nella società odierna? Cosa vuol dire produrre cultura senza dimenticarsi di essere cristiani, ma testimoniando Cristo e il Vangelo? Lo scopo ultimo di un letterato o di un uomo che fa cultura non deve essere rivolto soltanto a testimoniare Cristo, ma significa dirigere l’intera attività culturale alla conquista della vita eterna. Il tema è stato introdotto dal musicista e compositore Cristian Carrara in occasione dell’Assemblea annuale del Centro Culturale San Paolo, che si è tenuta domenica 21 marzo a Roma. Un momento di riflessione e confronto che non ha avuto la pretesa di rispondere ai bisogni e alle necessità degli operatori culturali cristiani della post-modernità, sottoposti a continue nuove sfide tecnologiche. Ma che ha mirato a scuotere le coscienze di quanti con difficoltà si muovono alla ricerca di nuovi strumenti conoscitivi per fare cultura nell’età della comunicazione. Cristian Carrara affronta la tematica con professionalità, e prende come modello di riferimento Clive Steape Lewis, noto scrittore de Le Cronache di Narnia, che nel lungo percorso di conversione al cattolicesimo si domandò se con il suo ruolo di scrittore avrebbe potuto conquistare la vita eterna. Tre furono le risposte: la cultura come mezzo di sostentamento, la cultura come antidoto contro il male della collettività, la cultura come piacere sublime che riesce a vincere il peccato. Se la produzione della cultura è il mezzo di sostentamento per guadagnarsi da vivere, allora vuol dire che la cultura può essere cosa giusta e gradita a Dio. La cultura è da concepire come espressione dell’ingegno umano che deve essere esperita per il bene della collettività, e quindi può lodare ed essere lieta a Dio. Soltanto con questo fine essa può divenire, attraverso i produttori culturali che testimoniano la fede, un antidoto per impedire che vengano proposti modelli negativi per il genere umano. Infine, fare cultura ha un senso perché essa riesce a suscitare un piacere sublime nell’uomo e per l’uomo, pertanto lo stesso piacere come espressione di un sommo bene può portare a superare le tentazioni che conducono ai peccati più ignominiosi. Il tema offerto da Carrara con sobrietà può essere un giusto metodo per scuotere le coscienze più pigre dell’uomo contemporaneo; un invito ad una piena consapevolezza della fede cristiana per il bene della società. Fare cultura nella società contemporanea non significa solo comprenderne il valore intrinseco, ma significa essere capaci di comunicare cultura. Produrre cultura equivale a comunicare cultura. Ecco perché si può affermare che la cultura è comunicazione. Oggigiorno comunicare significa relazionarsi con il medium e soprattutto con le innumerevoli possibilità di interazione che offrono le nuove tecnologie nel processo di massificazione. Il prodotto di tale processo in inarrestabile dinamismo non crea uno spartiacque tra cultura grammaticalizzata e cultura di massa, ma oltrepassa questa diversità per informare e formare le coscienze di una moltitudine indifferenziata di soggetti. Allora, le difficoltà per il produttore cultura odierno è nel possedere una piena coscienza di sé, una padronanza del medium (mondo digitale e new media) con tutti i rischi ad esso connesso (commercializzazione della cultura, ambiguità e arbitrarietà dell’oggetto del messaggio).